Il gioco come approccio terapeutico

All’interno dei diversi contesti terapeutici, logopedico così come psicologico e per tutte le discipline che si occupano della persona, la base fondamentale, presupposto che permette di intraprendere insieme un percorso, è l’attenzione alla relazione terapista-paziente. L’approccio di Pedagogia Relazionale del Linguaggio permette di unire i contenuti relativi alla relazione terapista-paziente e le tecniche di riabilitazione. Questo non significa dunque negare la tecnica ma evitare che questa funga da schermo tra i due attori della seduta riabilitativa.

La PRL (Pedagogia Relazionale del Linguaggio) muove i primi passi con Claude Chassagny, pedagogo e psicanalista francese che si è occupato di bambini con difficoltà di comunicazione, di linguaggio e di apprendimenti più in generale ed è stata portata in Italia attraverso l’istituto Chassagny da Marina Steffenoni e Eliane Piguet.

Ciò che contraddistingue questo tipo di approccio terapeutico è l’attenzione alla relazione, la possibilità di lasciare uno spazio di azione e di ascolto al paziente e alla sua famiglia in modo tale che siano loro i protagonisti del loro percorso terapeutico; il bambino non trova un ambiente con un’attività scelta a priori, con degli esercizi volti ad “aggiustare” ciò che non funziona a livello di suoni, struttura della frase, comprensione, narrazione, ecc. ma il terapista accoglie un soggetto a cui vengono lasciati spazio e tempo per raccontarsi e capirsi attraverso le modalità a lui più vicine che vanno dall’espressione corporea, emotiva, al racconto, al disegno e al gioco. In questo contesto la comunicazione avviene naturalmente attraverso la condivisione; la competenza comunicativa viene così stimolata fornendo al bambino sostegno, organizzando e attribuendo significato alle sue azioni, facilitando l’acquisizione del linguaggio attraverso la restituzione di un target corretto secondo il codice linguistico adulto rispetto alla sua produzione e incontrandolo nelle sue motivazioni, nei suoi interessi.

Tutto questo si può ottenere più facilmente se durante la terapia partiamo dal gioco spontaneo del bambino, facendo attenzione ai nostri interventi verbali, sia nella qualità che nella quantità e soprattutto nella tempistica. Il bambino sa che viene a fare logopedia per lavorare sulle parole e sul linguaggio ma se si parte dal suo codice comunicativo, sulle sue parole, allora la tecnica ha la possibilità di appoggiarsi alle parole vive, che per il bambino hanno significato, sono importanti e raccontano parte di lui e della sua storia.

Attraverso il gioco si può dar forma al pensiero, contenere, organizzare e categorizzare; gradualmente, dal gioco agito si passa al simbolo e poi al linguaggio sia verbale che scritto, che si struttura insieme in tutte le sue componenti: fonetica/fonologica (i suoni e le loro combinazioni nelle parole), lessicale, morfosintattica e narrativa. Attraverso questo tipo di approccio per il bambino diventa più facile e automatica la generalizzazione, permettendo alle acquisizioni linguistiche specifiche apprese all’interno della seduta di essere trasferite negli altri contesti e ambiti della vita quotidiana, aiutando il bambino ad attivare un controllo consapevole sulla propria produzione verbale quando egli è pronto a svolgere questo passaggio.

Spesso mi capita che i genitori mi chiedano che esercizi possono far fare a casa ai loro bambini; anche in questo caso giocare è la risposta, giocare per davvero. Nel gioco vero (quello in cui non si mente) il bambino può imparare moltissime cose, nel modo più naturale per lui. Nel gioco simbolico impara a dare forma al pensiero e alle emozioni, impara degli script di vita quotidiana, impara ad essere flessibile in relazione agli altri attori del gioco; nei giochi più strutturati (come i giochi da tavolo) si sviluppano competenze come attenzione selettiva e sostenuta, attesa e rispetto del turno, inibizione di risposte automatiche, ragionamento e logica, categorizzazione, previsione e strategia. L’importante da parte dell’adulto è saper giocare in modo leale. Dal punto di vista linguistico, più che proporre degli esercizi a casa, il genitore può fornire al bambino il modello corretto di produzione verbale sia per quanto riguarda i suoni che la struttura della frase, riorganizzando quanto prodotto dal bambino, senza forzare la ripetizione ma rinforzando nel caso in cui il bambino stesso spontaneamente decida di provare a riprodurre il modello fornitogli.

Dott.ssa Martina Garbo

Logopedista